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“E’ la lingua che ci rende liberi ed
uguali” (Don L. Dilani) 1. Mare del Nord «Banco di aringhe a sinistra!» annunciò
il gabbiano di vedetta, e lo stormo del Faro della Sabbia Rossa accolse
la notizia con strida di sollievo. Da sei ore volavano senza interruzione, e anche se i gabbiani pilota li
avevano guidati lungo correnti di aria calda che rendevano piacevole
planare sopra l’oceano, sentivano il bisogno di rimettersi in forze, e
cosa c’era di meglio per questo di una buona scorpacciata di aringhe? Volavano sopra la foce del fiume Elba, nel mare del Nord. Dall’alto
vedevano le navi in fila indiana, come pazienti e disciplinati animali
acquatici, in attesa del loro turno per uscire in mare aperto e poi far
rotta per tutti i porti della Terra. A Kengah, una gabbiana dalle piume color argento, piaceva particolarmente
osservare le bandiere delle navi, perché sapeva che
ognuna rappresentava un modo di parlare, di chiamare le stesse cose con
parole diverse. «Com’è
difficile per gli umani. Noi gabbiani, invece, stridiamo nello stesso
modo in tutto il mondo» commentò una volta Kengah con un compagno di volo. «Proprio così.
E la cosa più straordinaria è che ogni tanto riescono anche a capirsi»
stridette l’altro. Al di là della linea costiera il paesaggio diventava di un verde intenso.
Era un enorme prato nel quale spiccavano le greggi di pecore che
pascolavano al riparo delle dighe, e i pigri bracci dei mulini a vento. Seguendo le istruzioni dei gabbiani pilota, lo stormo del Faro della
Sabbia Rossa imboccò una corrente d’aria fredda e si lanciò in
picchiata sul banco di arringhe. Centoventi corpi bucarono l’acqua
come frecce e, quando risalirono a galla, ogni gabbiano stringeva un
pesce nel becco. Aringhe saporite. Saporite e grasse. Proprio quello di cui avevano bisogno
per recuperare energie prima di riprendere il volo fino a Den Helder,
dove a loro si sarebbe unito lo stormo delle isole Frisoni. La rotta prevedeva poi di proseguire fino al passo di Calais e al canale
della Manica, dove sarebbero stati accolti dagli stormi della baia della
Senna e di Saint Malo, assieme ai quali avrebbero volato fino a
raggiungere ii cielo di Biscaglia. A quel punto sarebbero stati un migliaio di gabbiani, simili a una veloce
nuvola d’argento che si sarebbe pian piano ingrandita con l’arrivo
degli stormi di Belle Ile e di Oléron, e dei capi Machichaco, Ajo e Peñas.
Quando tutti i gabbiani autorizzati dalla legge del mare e dei venti
avessero sorvolato la Biscaglia, sarebbe potuto iniziare II grande
convegno dei gabbiani del mar Baltico, del mare del Nord e
dell’Atlantico. Sarebbe stato un bell’incontro. A questo pensava Kengah mentre si pappava
la sua terza aringa. Come tutti gli anni si sarebbero sentite storie
interessanti, specialmente quelle narrate dai gabbiani di capo Peñas,
instancabili viaggiatori che a volte volavano fino alle isole Canarie o
a quelle di Capo Verde. Le femmine come lei si sarebbero date a grandi banchetti di sardine e di
calamari, mentre i maschi avrebbero costruito i nidi sul bordo di una
scogliera. Poi le femmine avrebbero deposto le uova, le avrebbero covate
al sicuro da qualsiasi minaccia, e quando ai piccoli fossero spuntate le
prime penne robuste sarebbe arrivata la parte più bella del viaggio:
insegnare loro a volare nel cielo di Biscaglia. Kengah infilò la testa sott’acqua per acchiappare la quarta aringa, e così
non sentì il grido d’allarme che fece tremare l’aria: «Pericolo a dritta! Decollo d’emergenza!» Quando Kengah tirò di nuovo
fuori la testa, si ritrovò sola nell’immensità dell’oceano. |
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